Una donna stringe al petto il figlio, avvolta nella luce soffusa del primo mattino. Il profilo di una sposa sotto un velo sembra esse rubato dalle pagine di un’attuale rivista di moda. Un indiano Sioux abbandona la fierezza del guerriero per mostrarsi, prima di tutto, come uomo. Sono le fotografie di Gertrude Käsebier, le cui figure, se non fossero tradite dalla foggia di abiti che appartengono in maniera inequivocabile ad un’epoca lontana, apparirebbero così moderne ai nostri occhi da non riuscire a trovare loro una collocazione temporale.
Si tratta di immagini che sfidano le convenzioni della ritrattistica tradizionale e che raccontano persone vere, libere dai ruoli imposti dalla società e ritratte, quindi, nella loro vera essenza.
Sono gli scatti di una delle prime donne che ha fatto della fotografia il proprio mestiere.
I primi contatti con il mondo dell’arte
Nata nel 1852 nello Iowa, a seguito della morte del padre, la sua famiglia si trasferì a New York, dove la madre aprì una pensione.
Qui Gertrude Käsebier rimase imprigionata in un matrimonio difficile con un uomo agiato, che le diede tre figli e solo un breve barlume di felicità.
I coniugi vissero, di fatto, due esistenze separate, per evitare lo scandalo del divorzio. Scelta che portò la Käsebier, a trentasette anni, ad avvicinarsi al mondo dell’arte.
Frequentando il Pratt Institute of Art and Design, venne in contatto con le teorie di Friedrich Fröbel e di Arthur Wesley Dow sullo sviluppo del bambino, concetti che l’artista renderà propri quando lascerà la pittura e il disegno per avvicinarsi al mondo della fotografia.
Le madri e i loro bambini saranno, infatti, i suoi primi modelli, che ritrarrà nella delicata intimità del loro legame esclusivo.
Scoperta la sua vera passione, Gertrude Käsebier si dedicò allo studio, viaggiando negli Stati Uniti e in Europa, diventando poi l’assistente del fotografo Samuel H. Lifshey.
Il successo non tardò ad arrivare e venne sancito da una mostra di centocinquanta fotografie all’importante associazione fotografica Camera Club di Boston e da altrettante celebri esposizioni.
Gertrude Käsebier e i Sioux
Dopo l’apertura del suo studio a New York, nel 1898, Gertrude Käsebier entrò in contatto con William Frederick Cody, meglio noto come Buffalo Bill, di passaggio a New York. Il vecchio cacciatore aveva creato uno spettacolo itinerante in cui venivano ricreate le grandi battaglie più famose del vecchio west e consentì alla fotografa di scattare alcune fotografie ai Sioux che facevano parte del suo show.
Questi scatti, che raccontano gli indiani d’America focalizzando l’attenzione sulla loro individualità più che sui loro costumi, diventeranno i più rappresentativi dell’opera di Käsebier.
Iron Tail, diventato ormai una celebrità internazionale, ha il volto sorridente e un atteggiamento rilassato, mentre Flying Hawk, appena entrato a far parte del mondo dello spettacolo per sfuggire alla miseria all’epoca del ritratto, conserva l’aspetto di un fiero combattente.
Una fotografa di grande fama
Le fotografie di Gertrude Käsebier vennero incluse nelle più importanti mostre e pubblicazioni dell’epoca.
I suoi contemporanei la definirono la principale fotografa americana di ritrattistica artistica.
Personalità come Mabel Dodge, Stanford White, John Sloan, Robert Henri, Arthur B. Davies, William Glackens, Chester Beach e Auguste Rodin posarono per il suo obiettivo.
Si fece promotrice di associazioni e movimenti per la promozione della fotografia.
Dopo la morte del marito, nel 1910, contribuì a fondare la Women’s Professional Photographers Association of America, ispirando il lavoro di molte donne.
Gertrude Käsebier riuscì a fare della sua passione il mezzo con cui sostenne se stessa e la sua famiglia.
Negli ultimi anni della sua attività, venne affiancata dalla figlia Hermine Turner.
Nel 1929, smise di fotografare. Lo stesso anno venne organizzata un’importante mostra personale al Brooklyn Institute of Arts and Sciences. Gertrude Käsebier morì cinque anni più tardi, lasciando un ricco corpus di opere che testimonia la sua moderna visione del mondo.
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Clara Zennaro